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In ricordo del professor Mario Seita

Pubblicato: Venerdì 25 giugno 2021
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Poco più di un mese fa, giovedì 13 maggio, Mario Seita, docente dal 2012 di Letterature del mondo classico presso il nostro Dipartimento, ci ha lasciati, a pochi giorni dal suo collocamento in pensione. L’8 aprile avevo ricevuto e sottoscritto la sua domanda per essere nominato “cultore della materia”, in modo che potesse terminare il suo insegnamento e i suoi esami per l’anno accademico in corso. E quel mattino di maggio (come ricordano accorate testimonianze di suoi studenti, affidate alla pagina facebook del Dipartimento), Mario si era collegato per gli esami, ma dopo poco tempo aveva dovuto interrompere, perché non si sentiva bene. Così, esercitando sino all’ultimo con gentilezza e dedizione il suo lavoro, ci ha lasciati. Le testimonianze che ho richiamato sono molto significative: gli studenti ricordano la “passione” e la “chiarezza” delle sue lezioni, insistono sulla “gentilezza” nei loro confronti e scrivono infine, in più d’uno (e la cosa mi ha colpito, perché non pensavo che il termine e il concetto fossero così in uso tra i giovani), “mi reputo onorato di essere stato suo studente”.

Nato a san Maurizio Canavese il 13 marzo del 1954, Mario Seita si era laureato al Magistero di Torino, sotto la guida di Francesco Giancotti (morto quattro anni fa ultranovantenne), con un lavoro sul filosofo Seneca. A questo autore, e ad altre figure dell’età neroniana come Anneo Sereno e lo stesso Nerone, Mario ha dedicato i suoi primi lavori, culminati nel volume, uscito dalle Edizioni dell’Orso nel 2001, Tra Clio e Melpòmene: Lettura dell’Octavia. Il dramma Octavia, che ha come protagonista la sventurata moglie di Nerone, ripudiata e poi fatta uccidere dall’imperatore nel 62 d. C. ed è l’unica praetexta (“pretesta”), e cioè tragedia latina d’argomento storico romano, giunta intera fino a noi, era stato attribuito da Francesco Giancotti a Seneca. Seita, che ricorda “con piacere e nostalgia”, nella Premessa, il corso sull’Octavia tenuto dal maestro negli anni dei suoi studi universitari, assegna invece convincentemente la pretesta a un anonimo imitatore del filosofo dei primi anni successivi alla morte di Nerone, e ne illustra in dettaglio il tentativo ambizioso (ma in realtà fallito) di rendere i suoi personaggi pari e spesso anche superiori a quelli del mito.

In seguito, e fino a questi ultimi giorni, l’attenzione principale di Mario Seita si è spostata su Plauto, esaminato in molte occasioni come poeta dalla comicità non solo farsesca, ma anche più fine, qualcosa che si avvicina – scriveva – al nostro umorismo. Se il libro sull’Octavia conclude e direi corona in qualche modo i diversi suoi studi su Seneca e il suo tempo, con Plauto il punto di partenza è invece un volume del 2005, La vita è sogno? Lettura della Rudens di Plauto, un’analisi attenta della commedia plautina, in cui Seita sottolinea, dietro il lieto fine obbligato, la venatura di amarezza presente nel riso di quello che definisce “poeta del disincanto”. Nella finzione scenica farebbe capolino, secondo il critico, la dura realtà, in base alla quale ottiene di più chi conta di più sul piano sociale e pertanto anche i sogni non hanno tutti il medesimo valore. Seguono questo volume altri quattordici saggi plautini (ancora tre sulla Rudens, e poi quattro sullo Pseudolus, altri sul Poenulus, l’Asinaria, la Casina e su differenti momenti della fortuna del commediografo). E il numero salirebbe a sedici, qualora fosse possibile ricuperare due contributi ancora inediti, e annunziati un mese fa come di prossima pubblicazione, uno sulla Mostellaria e l’altro sui Captivi.

Ma Seita si è occupato anche di altri testi e autori latini: ha scritto sul leggiadro De rosis nascentibus, tramandatoci dall’Appendix vergiliana; e poi, sempre con precisi affondi esegetici, su Orazio, Persio, Tito Livio, Apuleio, Cicerone, Petronio, Decimio Laberio. Ha anche lavorato su un poemetto neolatino di Pascoli, il Moretum (in una “lettura” datata 1986, dove il senso di decadenza del mondo latino che si percepisce in questa gitarella fuori porta di Orazio, Mecenate e Virgilio, è interpretato sullo sfondo della coscienza decadente propria della cultura europea tra fine Ottocento e primo Novecento). Ed è intervenuto con due note puntuali su una poetessa greca come Saffo.

Un altro suo ambito di ricerca è stata la fortuna di temi e figure della cultura classica nelle letterature moderne.

Nell’ambito delle letterature straniere, si è occupato in particolare della letteratura francese, con studi su Rousseau, schierato contro Cesare in difesa di Laberio (2018), sulle fonti antiche del Caligula di Camus (un lavoro del 1998), e con altre ricerche su Dumas padre, su Anatole France, su Théophile Gauthier, e, più in generale, sugli echi plautini nell’Ottocento francese. Ma un contributo (del 2009) riguarda anche il britannico Robert Graves.

Numerose soprattutto, e meritevoli penso di essere raccolte in volume, le indagini relative alla presenza della cultura classica nella letteratura italiana degli ultimi secoli: due sono gli interventi su Leopardi (il primo su A Silvia, del 2010 e il secondo sul Canto notturno di un pastore errante, del 2013), uno su Manzoni (La voce della donna amata: un’eco catulliana in Manzoni, ancora del 2013), uno su Aristofane in d’Annunzio (dell’anno precedente); due gli interventi su Pavese (entrambi sul Diavolo sulle colline, uno del 2013, l’altro dell’anno seguente); uno sul Velocifero di Luigi Santucci (del 1994); quattro, infine, sull’amato Bacchelli (L’Ade omerico e un amaro pensiero di Riccardo Bacchelli, del 2011; Bacchelli traduttore di Archiloco, del 2013; Due liriche di Bacchelli sulla distruzione di Cartagine, ancora del 2013; Epicurei romani secondo Riccardo Bacchelli, del 2020).

A testimonianza dell’apertura interdisciplinare del nostro collega sta il fatto che molte indagini di taglio semiotico e antropologico le ha condotte insieme ad Alberto Borghini, a lungo insegnante di Antropologia culturale al Politecnico di Torino. E con Borghini Mario ha diretto, sino alla morte, “Serclus”, la rivista del Centro di documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio, in provincia di Lucca, che dallo scorso anno è diventata una rivista on line.

L’ultimo lavoro pubblicato da Mario Seita è una traduzione in italiano con commento dei primi dieci capitoli dell’Oneirocriticon (L’interpretazione dei sogni), un testo databile al IX o X secolo che molti codici attribuiscono ad Achmet e che in realtà è una versione greca anonima di più fonti arabe, con i dovuti adattamenti per l’ambiente cristiano di Bisanzio. Il lavoro, redatto anch’esso insieme ad Alberto Borghini e uscito nell’aprile 2021, riguarda significativamente in larga misura la “resurrezione di morti” e l’aldilà (cap. 5: “Interpretazione della resurrezione secondo gl’Indiani”; cap. 6: “Sulla resurrezione secondo i Persiani”; cap. 7: “Sulla resurrezione secondo gli Egiziani”; cap. 8: “Sul paradiso secondo gli Indiani”; cap. 9: “Sul fuoco dell’inferno secondo gli Indiani”; cap. 10: “Sugli angeli secondo gli Indiani”). Vi si legge per esempio: “Qualora qualcuno, che è buono, si veda introdotto nel paradiso, questi è salvato, perché per volere di Dio ciò è per lui la buona novella, secondo le opere buone che ha compiuto”. E anche: “Qualora veda che ha dato dei frutti a un altro, diventerà un maestro secondo quanto ha spartito e condiviso”. Mi piace pensare che il collega sia stato visitato, nei suoi ultimi giorni, da uno di questi sogni.

Luca Badini Confalonieri

Ultimo aggiornamento: 25/06/2021 08:27
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